Abruzzo, terra d’adozione

Vito Giovannelli è un narratore infaticabile; la sua produzione è vasta, quanto ampia la sua fonte, quanto profondo il suo pensiero che traspare dalle lame degli occhi. E’ un uomo fuori del tempo, se Dio vuole, è per più ragioni. Rivolge la sua mente a cose del passato, riscopre e ferma ricordi d’altri tempi, torna ad usi e costumi che sono scomparsi e ad altri che non vogliono morire, mentre il nuovo urge; torna a concezioni di quando l’arte era sacra e quando essa aveva i suoi mecenati, non i collezionisti, e quando aveva una funzione. Ora i mecenati, i più, sono d’altra stoffa e forse la sua via sarebbe diversamente spianata se si fermasse su cose e volti nuovi e non su pezzi che sanno di sacrestia, che san di pietre fragili e non d’acciari lucenti, che han già sofferto l’ingiuria del tempo. Ma, tant’è: ciascuno nasce con un destino o con un compito da sopportare o da svolgere o da assolvere. Sono stato nell’officina, nella bottega, nello studio di Giovannelli sotto un tetto basso: i libri, gli studi, i disegni, le carte, le idee, vedi anche le idee; toccano la volta e rischi di batterci la testa anche tu se non stai attento: una valanga di idee, quelle realizzate, ma sono sempre più numerose quelle da realizzare; come le ciliegie, una tira l’altra, una nasce dall’abbozzo di un’altra. Conosco Vito Giovannelli da alcuni anni ed ammiro soprattutto in lui la sua costanza e la sua fedeltà al lavoro che divide soltanto con la intimità della sua famiglia. Ne viene, in lui, una serenità che è visibile attraverso la sua produzione artistica. Quando si dedicava in modo più continuativo alla pittura, dipingeva fiori e pochi altri soggetti in cui i fiori non mancavano, credo, mai, ed era la sua, una pittura sottile fatta di un pensiero cromico lindo, che rifuggiva da violenze timbriche, da contrasti volumetrici da fantasie e tanto meno da fantasie inventive, schiva da problemi, da impegni, da preoccupazioni di mode. I fiori dominavano il regno della sua pittura, anche negli scorci di balconi in fiore, di case e di cose reali, vicino al suo contatto di ogni giorno. Un paio di anni fa lo presentai in una collettiva a Roma insieme ad una dozzina di giovani pittori abruzzesi. Vito Giovannelli esponeva i suoi fiori: ma già da allora sentii che altro bolliva nella pentola e che Vito Giovannelli piu che a quei fiori, teneva all’altro che bolliva e già prepotentemente, da tempo. Vito Giovannelli è una persona gentile e pacata, ma lo vedevo teso a qualcosa di diverso da quel che mostrava nelle sue tele, lo sentivo preoccupato da qualcosa che lo animava dentro, da interessi diversi, per una forma d’arte diversa. La grafica, l’incisione, la ricerca dell’antico volto della nostra terra, sua terra di adozione, immortalata nella pietra, nelle oreficerie, nel ferro battuto, nei costumi, sul volto della nostra gente, negli avvenimenti della nostra storia, nella preziosità fedele delle nostre tradizioni: e tutto questo, fatto con programma diverso da quello che abitualmente si fa da un artista che si ferma alla attività sua professionale. Difatti, egli, in collaborazione con una schiera di ricercatori, di uomini colti, di poeti, di critici animati dallo stesso sacro fuoco, ha illustrato monografie, studi, volumi, riviste d’ogni formato (preferisce quello gigante), con perizia, con grazia e fedeltà; ecco, ritorna alla sua fondamentale qualificazione, all’impegno, alla realtà storica ed artistica, per mezzo della quale rivivono cose ignorate e cose note per rispetto d’arte e d’amore alle cose che esamina e trascrive col bulino e col cuore….

 Guido Giuliante

LA REGIONE ANNO XIII, Maggio, 1976